Il famoso “secondo cervello”

Il sistema nervoso enterico si trova nel nostro intestino ed è composto da circa 500 milioni di neuroni. Da qui il suo soprannome “secondo cervello”. Il cervello, quello vero e proprio, e il sistema digerente sono inoltre direttamente collegati attraverso il nervo vago. Questo è il motivo per cui quando viviamo una forte emozione, positiva o negativa che sia, la percepiamo anche nella pancia. Pensiamo ad esempio alle farfalle nello stomaco che percepiamo quando ci innamoriamo o all’improvvisa necessità di correre in bagno prima di un esame. Il cervello è dunque continuamente informato su ciò che avviene nell'intestino e questo gli è fondamentale per sapere sempre l'esatta misura dell'apporto energetico su cui può contare. Le emozioni possono quindi modificare il funzionamento degli organi e una malattia in un organo può modificare le nostre emozioni.

La connessione tra apparato digerente e urogenitale

Un intestino infiammato e/o una condizione cronica di disbiosi (alterazione della flora batterica intestinale) porta ad un rilascio di sostanze che generano un aumento dell’infiammazione locale che può raggiungere anche organi più lontani dall’intestino, e arrivare a livello genitale. La disbiosi, generando infiammazione, può concorrere inoltre alla sindrome dell’intestino permeabile, che a sua volta genera infiammazione e contribuisce alla determinazione di questo circolo vizioso.

Il ruolo dell’ansia e dello stress

Il dolore è condizionato tanto da fattori psicologici come ansia e frustrazione, quanto da una componente emotiva. Lo stress infatti, è uno degli stimoli più importanti che cervello e intestino affrontano insieme. Quando il cervello rileva una fonte di stress (come fretta, rabbia, ansia), prende “in prestito” energia soprattutto dall’intestino, che si trova a risparmiare energia nella digestione, produrre meno muco, ridurre la propria irrorazione sanguigna, assottigliare il mantello protettivo delle mucose e indebolire le pareti intestinali. Ogni forma di stress infatti attiva i nervi che frenano la digestione: quindi ricaviamo meno energia dal cibo, impieghiamo più tempo a digerire e affatichiamo l’intestino. Creiamo così la condizione ideale per problematiche gastrointestinali.

I cibi che ci fanno paura

Alimenti che spesso si propone di rimuovere in presenza di vulvodinia, cistiti, endometriosi o infezioni vaginali ricorrenti sono sempre gli stessi: zuccheri, lieviti, glutine, formaggio, alcool, soia, caffè.

La verità è che se è vero che gli studi esistenti sulla nutrizione suggeriscono che la dieta sia un fattore di rischio su cui si può lavorare, non si evincono a oggi chiare raccomandazioni scientifiche, né viene suggerita una specifica alimentazione.

Le review più accreditate, esaminando quanto disponibile in letteratura, concludono che la scarsità di dati scientifici e la variabilità dei risultati dei lavori specifici, impediscono di affermare ad esempio l’esistenza di associazione tra una particolare dieta e lo sviluppo dell’endometriosi (o altre forme di dolore pelvico cronico). Nessun altro studio al momento riporta dati soddisfacenti circa la relazione tra uno specifico alimento ed una determinata patologia, quindi al momento sono necessarie ulteriori ricerche per poter dare delle risposte più significative in merito.

La dieta mediterranea, caratterizzata da un alto rapporto tra acidi grassi monoinsaturi e saturi, da un’abbondante percentuale di frutta e verdura, frutta secca, cereali integrali, legumi e un corretto rapporto tra acidi grassi omega 3 e omega 6, ha mostrato di possedere un effetto antinfiammatorio migliore rispetto ad altri modelli dietetici tipici del Nord America e del Nord Europa, motivo per cui è stata proposta come modello dietetico utile per ridurre l’infiammazione nelle patologie infiammatorie croniche.

Il cibo non è non è nostro nemico

Nessun cibo è “buono” o “cattivo” a priori. È sempre la frequenza e la quantità a fare la differenza. Importante è avere un modello alimentare equilibrato, che segua le orme della nostra dieta mediterranea. Salvo problematiche o patologie specifiche, come allergie, intolleranze, celiachia, non c’è motivo di escludere a priori un certo tipo di alimento.

Riconnettersi con i propri bisogni psicofisici, tornare ad ascoltare i propri segnali fisiologici di fame e sazietà, vivere con serenità il rapporto con il cibo e con il corpo, porre attenzione alla propria regolarità gastrointestinale, sono alcuni dei piccoli atti di cura che possiamo portare avanti giorno per giorno.

Tanta informazione non vuol dire buona informazione

Viviamo in un periodo in cui spesso l’eccesso d’informazione rischia di trasformarsi in vera e propria disinformazione. Prima di rivolgerci a unə professionista, è importante fare le nostre valutazioni, ma il consiglio è quello di provare ad affidarci, ascoltando quello che ci propone e consiglia. Questo tipo di relazione è conosciuta come alleanza terapeutica, ed è fondamentale per entrambe le parti. Compito di chi cura è essere apertə al dialogo e lasciare spazio ai dubbi e alle difficoltà che incontra lə paziente. Quest’ultimə deve sapersi fidare delle indicazioni che vengono fornite, lasciando da parte la diffidenza.

Un approccio multidisciplinare, in cui diverse figure professionali collaborano tra loro per valutare la singola condizione, è sicuramente quello consigliato. Ovviamente ogni percorso è a sé e va valutato di caso in caso: ginecologə, ostetricə, osteopata, fisioterapista, nutrizionista e psicoterapeuta possono però collaborare per unire i puntini.

Concedersi di sbagliare

La perfezione non esiste e non ci interessa: allontaniamoci dall’idea tossica per cui le cose vanno fatte “al meglio” o “non vanno fatte affatto”. Meglio focalizzarsi su un obiettivo di benessere sostenibile e concreto e fare piccoli passi ogni giorno. Non bisogna avere paura di fallire o di confrontarsi con il timore di non farcela. Quando arrivano pensieri disfattisti e distruttivi, può essere utile provare a riportare l'attenzione al momento presente. Lasciare andare le tensioni col respiro e concentrarsi su quello che si può fare, piuttosto che su quello che non si può cambiare.

Fonti: Parazzini et al., 2012, Harvard Health Publishing, 2021