Perché vogliamo stare con altri pazienti?

Grazie all’esperienza diretta della community di Hale e a quanto dice la letteratura scientifica, vediamo due grandi motivi:

  • Supporto tra pari: aiutarsi a non essere soli, darsi motivazione, trovare persone che ci sono già passate e che ci capiscono
  • Risolvere problemi insieme: trovare altre persone che sono “esperte per esperienza”, che devono convivere con il loro corpo e la loro patologia, scoprire di avere problemi comuni e provare a risolverli insieme
  • Avere un supporto sociale

Chi soffre di dolore cronico tende ad avere una qualità della vita più bassa, a soffrire di forme di isolamento e depressione. Quindi il supporto sociale può essere un aspetto importante, soprattutto se lo si prende in tutte le sue forme:

💗 supporto emozionale: ottenere compassione, empatia o rassicurazione

🤏 supporto tangibile: assistenza fisica o materiale quando serve

📚 supporto informativo: ricevere consigli e informazioni per aiutare a risolvere un problema

🕸️ supporto di rete: stare in un gruppo di persone che la pensano come te o che ti capiscono

Studi dimostrano che chi fa parte di programmi di supporto tra pazienti, gestisce meglio la propria condizione cronica.

Internet mette insieme le community di pazienti

In nessun altro momento della storia siamo stati capaci di comunicare in tutto il mondo, in un istante, con chiunque avesse della conoscenza e dell’esperienza da condividere. Non è mai stato così facile collaborare, comparare conoscenze e risolvere problemi insieme.

Ed è per questo motivo che vediamo pazienti di tutto il mondo mettersi insieme in spazi digitali per supportarsi e condividere esperienze.

Certo, la disinformazione è sempre dietro l’angolo, ma l’uso corretto delle fonti e il fact checking ci vengono in aiuto.  Nel 2006, un gruppo di ricercatori americani hanno verificato l’accuratezza dei contenuti di un forum sul cancro al seno. Di 4.600 post, solo 10 erano falsi ma 7 di questi erano stati corretti dalla community nel giro di poche ore. Quindi quasi tutto ciò che era condiviso, era corretto. Il potere della community sta anche nella sua capacità di autoregolarsi.

Risolviamo i problemi insieme

Oltre al supporto reciproco, mettere insieme tante persone che vivono esperienze simili, può aiutare a comprendere la complessità del problema comune. Condividere sensazioni, sintomi, miglioramenti, ricadute e nuove terapie, può aiutarci a costruire l’ecosistema della patologia e quindi a trovare nuovi modi per affrontarla.

Un esempio di questo è Nightscout, un progetto open source nato da John, ingegnere e papà di un bimbo con diabete, che ha inventato un programma per accedere in tempo reale ai dati di glucosio di suo figlio e ha condiviso il progetto online, aiutando migliaia di altri pazienti.

Patient-led innovation

I pazienti non sono solo pazienti, cioè non fanno i pazienti di lavoro. Come spesso nella vita, ci troviamo ad indossare vari cappelli, quindi vediamo e interpretiamo la nostra esperienza di pazienti (o come persone vicine ai pazienti) nel nostro modo unico. Così, le persone che devono convivere a lungo con una condizione cronica, spesso sviluppano soluzioni creative per migliorare la loro qualità della vita. Che cosa succede se diamo spazio a questi pazienti di condividere le loro soluzioni con altri? Che la possono migliorare anche ad altri. Questo è il concetto alla base di piattaforme come patient-innovation.com che lista più di 1.200 soluzioni inventate e condivise da pazienti.

Patient Centered Care

Per poter permettere che questo accada bisogna rivedere la classica gerarchia tra medico e paziente, dove uno da e l’altro riceve passivamente, per abbracciare il concetto di Patient-Centered Care. In questo nuovo paradigma, medico e paziente sono partner allo stesso livello. Chi cura è consapevole del proprio ruolo di “visitatore”, mentre il paziente diventa la guida all’interno della sua esperienza.

Si afferma quindi che il paziente sappia meglio di chiunque altro come sta la sua salute. Non ci si può permettere di dire che “un dolore non esiste” o liquidare la persona con una lista di cose da fare se la persona non condivide la proposta. È un lavoro di responsabilizzazione e di autonomia del paziente, dove l’obiettivo è aiutare la persona a trovare ciò che la fa stare bene, con il minor numero possibile di interventi dal sistema sanitario.

I pazienti devono potersi prendere cura di sé (ePatient)

Per poter coinvolgere i pazienti nel loro percorso di cura, bisogna fare in modo che abbiano le giuste informazioni in modo che diventino e-patient, cioè empowered, engaged, equipped and enabled (letteralmente responsabilizzati, impegnati, equipaggiati e abilitati).

Dave deBronkart, attivista per la medicina partecipativa, ha scritto un libro che è una grande base di conoscenza per questo movimento e chiama “Let Patients Help”. Dalla sua esperienza personale come paziente e da anni di attivismo, mette in luce il potere di internet e di una condivisione di dati ai pazienti per permettergli di essere realmente ingaggiati e presenti nel loro percorso di cura e benessere con la loro patologia.

Digital Healthcare Manifesto

e-Patient Dave ha contribuito alla scrittura di un manifesto alla base di questo movimento che dà valore al ruolo dei pazienti grazie agli strumenti digitali, che presenta questi principi chiave:

  1. Non basta avere la tecnologia, c’è bisogno di una trasformazione culturale, di come usiamo e ci approcciamo alla tecnologia
  2. Spesso le terapie prevedono un cambio dei comportamenti di vita. La tecnologia può aiutare in questo, solo se incoraggiamo a usarla bene
  3. La tecnologia permette di dare informazioni a attori diversi (vedi i pazienti che vanno su google) e di ricevere informazioni nuove, quindi porsi domande nuove
  4. Un cambiamento è difficile se è solo prescritto, il paziente deve volerlo e la tecnologia può aiutare a creare soluzioni specifiche per ogni paziente
  5. Chi ha internet oggi può accedere a molte informazioni sulla propria patologia e alcuni scoprono di avere una patologia grazie a internet. Non dobbiamo impedirlo, dobbiamo insegnare a usarlo al meglio
  6. I siti che diffondono notizie mediche hanno una grande responsabilità. Non tutti però la indossano a dovere. Bisogna pensare in modo critico e leggere oltre ai titoli.

Supporto digitale e tra “peers”

In alcune patologie, come il dolore pelvico cronico, c’è un gap scientifico di anni di mancata ricerca, formazione di professionisti e sensibilizzazione generale.

Per sopravvivere al momento presente, abbiamo due grandi carte da giocare: il digitale e il supporto tra pazienti. Per alcune aree terapeutiche, come il supporto psicologico, studi hanno dimostrato l’efficacia di supporti digitali non seguiti da professionisti, ma da “peers” e basati solo sul digitale.

Fonti: International Association for the Study of Pain (IASP), McMurtry et al., 2020, Esquivel et al., 20062020, Susannah Fox, 2020, epatientdave.com, The Digital Health Manifest, The Medical FuturistBernsten et al., 2021, Reinius et al., 2022Natif et al., 2022, How Chronic-Disease Patients Are Innovating Together Online, Susannah Fox